Articolo estratto dal libro "Liberi dal Sistema - La Guida per Cambiare il Mondo Partendo da Sè" di Enrico Caldari.
Gli stati nazionali forse non si sono posti con sufficiente convinzione l’interrogativo di come fare a trovare nuove forme di energia, o a produrne di rinnovabili in modo autonomo e il più possibile ecologico. L’Italia, ad esempio, utilizza risorse che arrivano dall’estero, comprandole da altri paesi. Che si tratti di petrolio libico o di gas russo, stiamo certi che dalla Pianura Padana non estraiamo più nulla.
Il metano che avevamo è finito da tempo. Ora abbiamo solo buchi vuoti, che al massimo utilizziamo per stoccare un po’ di gas per le situazioni di emergenza, facendolo arrivare dalla Russia. Quanto dipendiamo dagli altri? Fino al 2010, l’85% dell’energia che l’Italia utilizzava proveniva dall’estero. Poi furono promossi finanziamenti al settore delle energie rinnovabili, e abbiamo aumentato di qualche punto la nostra percentuale di «autosufficienza», ma ancora oggi siamo largamente dipendenti dalle risorse straniere. E dipendendo dal punto di vista energetico da altri, è ben difficile mirare alla propria indipendenza economica o alimentare. Basta un minimo imprevisto, basta che l’energia dall’estero non ci arrivi più anche solo per pochi giorni, per creare il blocco totale del paese.
Un esempio concreto? Il gas.
Il gas che utilizziamo tutte le mattine per preparare il caffè, bollire l’acqua o fare una doccia calda, prima di arrivare nelle nostre abitazioni compie un lungo viaggio di almeno 10000 chilometri. Parte dai giacimenti nella Russia settentrionale, attraversa tutta l’Europa dell’Est, passando prevalentemente per l’Ucraina e l’Austria, fino poi ad arrivare in Italia settentrionale ed essere distribuito in tutto il paese.
Ma cosa succederebbe, ad esempio, se Ucraina e Russia entrassero in conflitto? Sta succedendo, ed è già successo in passato, poiché tra i due paesi prevalgono tensioni politiche fin dalla caduta dell’Impero Sovietico. E spesso il gas è utilizzato dall’Ucraina come arma di ricatto e di trattativa.
Nel 2006, ad esempio, l’Ucraina chiese di avere gratuitamente dalla Russia parte del gas che attraversava il suo territorio per giungere fino in Europa, dove poi veniva commercializzato. La Russia invece pretendeva che l’Ucraina pagasse il gas al pari delle altre nazioni europee. La situazione giunse al culmine della tensione finché l’Ucraina decise di interrompere per quache giorno le condutture di gas verso l’Europa.
Cosa successe in Italia? Per garantire la disponibilità di gas a tutte le famiglie nelle loro case, il governo deliberò di sospendere la fornitura di gas a tutto il settore industriale. Era il mese di febbraio. Immaginatevi se la situazione si fosse protratta a lungo e se anche le case fossero rimaste senza riscaldamento. Per fortuna, la crisi si risolse dopo pochi giorni, e il gas tornò disponibile. Ma dal 2006 a oggi gli episodi di tensione politica tra Ucraina e Russia si sono susseguiti a più riprese. L’ultima volta che l’Ucraina interruppe il gas fu nel 2012. Anche quella volta ci trovavamo in inverno.
In quei giorni si leggevano sui giornali le dichiarazioni dell’allora amministratore dell’Eni, Paolo Scaroni, che affermava: «Dalla Russia sono diminuiti i flussi. Siamo in emergenza ma abbiamo reagito aumentando le importazioni di gas dall’Algeria e attraverso la Svizzera. Quindi non avremo problemi (...) fino a mercoledì». Era lunedì!
Questo significa che se ci tagliassero il gas dalla Russia, in Italia avremmo solo un paio di giorni di autonomia, ricorrendo a tutti i nostri approvvigionamenti interni e a tutte le altre fonti estere vicine.
Come fare, allora? La tecnologia ha fatto passi da gigante, al CERN di Ginevra ci sono cervelloni di scienziati al lavoro tutti i giorni... ci saranno pure delle alternative!
Qualcuno ci ha fatto credere per anni che l’alternativa migliore fosse l’energia nucleare.
Basta costruire qualche centrale ben protetta e alimentarla con barre di uranio per ottenere energia a sufficienza per un’intera nazione. E poi, se nel peggiore dei casi ci fosse qualche problemino.... beh, sono cose che succedono, gli imprevisti capitano sempre e ovunque. Intanto le scorie prodotte le sotterriamo in qualche miniera in Germania a 800 metri di profondità. E così almeno riduciamo la dipendenza dal petrolio.
Non è questo che ci hanno sempre detto e insegnato? Eppure i fatti ci dicono che non sia la soluzione migliore. Di tanto in tanto, qualcuno «dall’alto» ci lancia un avvertimento per ricordarci che il rischio delle centrali nucleari per l’intera umanità è molto alto, come alto è il prezzo da pagare in caso di guasti o malfunzionamenti.
Molti di noi hanno ancora vivo il ricordo di Cernobyl. Per anni il terreno è rimasto contaminato e gli effetti si sono sentiti in tutta Europa. Ma dieci anni dopo, chissà perché, nel Vecchio Continente si sono ricominciate a costruire nuove centrali nucleari. Ha iniziato la Germania e dietro di lei, a ruota, tanti altri paesi.
Nel 2011 Madre Natura ci mandò un altro avvertimento, che stavolta coinvolse l’altra parte del mondo: Fukushima, Giappone. Al momento del guasto alla centrale, i 50000 abitanti della città nipponica ebbero 15 minuti di tempo per raccogliere i propri averi e abbandonare definitivamente l’area, per non tornarci mai più.
Ancora oggi Fukushima continua a essere un caso complicato. Sui giornali non ne leggiamo più nulla, ma la zona è ancora altamente inquinata, e lo resterà sicuramente per lungo tempo. E dire che prima del disastro di Fukushima si stava pensando di costruire altre centrali nucleari anche in Italia. Pensate se un disastro di quella portata fossa accaduto a una centrale a L’Aquila. Cosa ne sarebbe stato?
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Gli stati nazionali forse non si sono posti con sufficiente convinzione l’interrogativo di come fare a trovare nuove forme di energia, o a produrne di rinnovabili in modo autonomo e il più possibile ecologico. L’Italia, ad esempio, utilizza risorse che arrivano dall’estero, comprandole da altri paesi. Che si tratti di petrolio libico o di gas russo, stiamo certi che dalla Pianura Padana non estraiamo più nulla.
Il metano che avevamo è finito da tempo. Ora abbiamo solo buchi vuoti, che al massimo utilizziamo per stoccare un po’ di gas per le situazioni di emergenza, facendolo arrivare dalla Russia. Quanto dipendiamo dagli altri? Fino al 2010, l’85% dell’energia che l’Italia utilizzava proveniva dall’estero. Poi furono promossi finanziamenti al settore delle energie rinnovabili, e abbiamo aumentato di qualche punto la nostra percentuale di «autosufficienza», ma ancora oggi siamo largamente dipendenti dalle risorse straniere. E dipendendo dal punto di vista energetico da altri, è ben difficile mirare alla propria indipendenza economica o alimentare. Basta un minimo imprevisto, basta che l’energia dall’estero non ci arrivi più anche solo per pochi giorni, per creare il blocco totale del paese.
Un esempio concreto? Il gas.
Il gas che utilizziamo tutte le mattine per preparare il caffè, bollire l’acqua o fare una doccia calda, prima di arrivare nelle nostre abitazioni compie un lungo viaggio di almeno 10000 chilometri. Parte dai giacimenti nella Russia settentrionale, attraversa tutta l’Europa dell’Est, passando prevalentemente per l’Ucraina e l’Austria, fino poi ad arrivare in Italia settentrionale ed essere distribuito in tutto il paese.
Ma cosa succederebbe, ad esempio, se Ucraina e Russia entrassero in conflitto? Sta succedendo, ed è già successo in passato, poiché tra i due paesi prevalgono tensioni politiche fin dalla caduta dell’Impero Sovietico. E spesso il gas è utilizzato dall’Ucraina come arma di ricatto e di trattativa.
Nel 2006, ad esempio, l’Ucraina chiese di avere gratuitamente dalla Russia parte del gas che attraversava il suo territorio per giungere fino in Europa, dove poi veniva commercializzato. La Russia invece pretendeva che l’Ucraina pagasse il gas al pari delle altre nazioni europee. La situazione giunse al culmine della tensione finché l’Ucraina decise di interrompere per quache giorno le condutture di gas verso l’Europa.
Cosa successe in Italia? Per garantire la disponibilità di gas a tutte le famiglie nelle loro case, il governo deliberò di sospendere la fornitura di gas a tutto il settore industriale. Era il mese di febbraio. Immaginatevi se la situazione si fosse protratta a lungo e se anche le case fossero rimaste senza riscaldamento. Per fortuna, la crisi si risolse dopo pochi giorni, e il gas tornò disponibile. Ma dal 2006 a oggi gli episodi di tensione politica tra Ucraina e Russia si sono susseguiti a più riprese. L’ultima volta che l’Ucraina interruppe il gas fu nel 2012. Anche quella volta ci trovavamo in inverno.
In quei giorni si leggevano sui giornali le dichiarazioni dell’allora amministratore dell’Eni, Paolo Scaroni, che affermava: «Dalla Russia sono diminuiti i flussi. Siamo in emergenza ma abbiamo reagito aumentando le importazioni di gas dall’Algeria e attraverso la Svizzera. Quindi non avremo problemi (...) fino a mercoledì». Era lunedì!
Questo significa che se ci tagliassero il gas dalla Russia, in Italia avremmo solo un paio di giorni di autonomia, ricorrendo a tutti i nostri approvvigionamenti interni e a tutte le altre fonti estere vicine.
Come fare, allora? La tecnologia ha fatto passi da gigante, al CERN di Ginevra ci sono cervelloni di scienziati al lavoro tutti i giorni... ci saranno pure delle alternative!
Qualcuno ci ha fatto credere per anni che l’alternativa migliore fosse l’energia nucleare.
Basta costruire qualche centrale ben protetta e alimentarla con barre di uranio per ottenere energia a sufficienza per un’intera nazione. E poi, se nel peggiore dei casi ci fosse qualche problemino.... beh, sono cose che succedono, gli imprevisti capitano sempre e ovunque. Intanto le scorie prodotte le sotterriamo in qualche miniera in Germania a 800 metri di profondità. E così almeno riduciamo la dipendenza dal petrolio.
Non è questo che ci hanno sempre detto e insegnato? Eppure i fatti ci dicono che non sia la soluzione migliore. Di tanto in tanto, qualcuno «dall’alto» ci lancia un avvertimento per ricordarci che il rischio delle centrali nucleari per l’intera umanità è molto alto, come alto è il prezzo da pagare in caso di guasti o malfunzionamenti.
Molti di noi hanno ancora vivo il ricordo di Cernobyl. Per anni il terreno è rimasto contaminato e gli effetti si sono sentiti in tutta Europa. Ma dieci anni dopo, chissà perché, nel Vecchio Continente si sono ricominciate a costruire nuove centrali nucleari. Ha iniziato la Germania e dietro di lei, a ruota, tanti altri paesi.
Nel 2011 Madre Natura ci mandò un altro avvertimento, che stavolta coinvolse l’altra parte del mondo: Fukushima, Giappone. Al momento del guasto alla centrale, i 50000 abitanti della città nipponica ebbero 15 minuti di tempo per raccogliere i propri averi e abbandonare definitivamente l’area, per non tornarci mai più.
Ancora oggi Fukushima continua a essere un caso complicato. Sui giornali non ne leggiamo più nulla, ma la zona è ancora altamente inquinata, e lo resterà sicuramente per lungo tempo. E dire che prima del disastro di Fukushima si stava pensando di costruire altre centrali nucleari anche in Italia. Pensate se un disastro di quella portata fossa accaduto a una centrale a L’Aquila. Cosa ne sarebbe stato?
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